3 storie di 3 donne che si intrecciano, ignare ognuna dell’altra, con un comune denominatore: Hajime.
L’esistenza di un uomo può essere scandita da molti eventi: spesso perdite, nuovi lavori, nuovi desideri, traguardi finalmente tagliati o viaggi intrapresi e poi abbandonati. Gli anni di Hajime sono scanditi da 3 amori, apparentemente indipendenti, essenziali ognuno di per sé, eppure da un certo momento in poi compossibili, complementari.
“Ancora adesso, quando penso a Izumi, mi viene sempre in mente la scena di una tranquilla mattina di domenica: c’è calma, il tempo è bello e la giornata è appena iniziata. Non ci sono i compiti di scuola e si è liberi di dedicarsi alle proprie attività preferite. Izumi mi faceva sentire così, come in una mattina di domenica.”
Izumi, la studentessa del liceo che gli aveva aperto il suo cuore, senza chiedergli mai nulla in cambio se non di aspettarla. Izumi la figlia di un dentista iscritto al partito comunista giapponese; Izumi con un fratello e una sorella più piccoli di lei; Izumi e il suo corpo nudo quell’unica domenica pomeriggio. Izumi e quel qualcosa di fondamentale che le mancava, quel qualcosa che l’aveva tenuta sempre un passo indietro nella corsa per l’amore di Hajime. L’Izumi che si sarebbe lasciata spezzare da lui, una volta che sarebbe bastata per una vita intera, svuotandola irreparabilmente di tutto.
“Ogni volta che la vedevo mi piaceva sempre di più. Aveva un viso piuttosto comune e non era il tipo di ragazza che attira uno stuolo di corteggiatori dovunque vada. Eppure il suo viso mi piaceva, aveva in sé qualcosa che sentivo mio. Durante i nostri incontri rimanevo a lungo a guardarla, innamorato perdutamente di tutto quello che vedevo. <Perché mi fissi così?> mi domandava lei. <Perché sei bella,> le rispondevo. <Sei la prima persona che me lo dice> <è una cosa che so solo io. E credimi, lo so bene.> All’inizio lei non mi credeva, ma alla fine si convinse.”
Yukiko, la moglie. L’amore in sottofondo, l’amore della svolta, l’amore che ha cambiato radicalmente la vita di Hajime, mancando però il centro del bersaglio. Yukiko che lo strappa dagli anni persi e solitari tra i venti e i trent’anni; Yukiko che gli da la possibilità di capire in cosa davvero può essere bravo senza mai averlo nemmeno sospettavo. Yukiko forte, resistente ai colpi del tempo eppure così fragile che un solo colpo di vento può ucciderla, spezzarla. Yukiko che si aggrappa alla speranza che, nonostante tutto, Hajime sarebbe rimasto; Yukiko la donna da cui si ritorna, la madre delle sue due bambine, quella dei picnic con la sorella la domenica al parco, quella sveglia alle due di notte ad aspettare che ritorna. Yukiko a cui non si chiede mai niente, Yukiko dei nuovi inizi, anche alla fine, anche quando ormai qualcosa si è spezzato, è scomparso.
“Shimamoto, quando sei andata via, ho continuato a pensare sempre a te. In questi mesi, sono quasi sei, non ho fatto altro dalla mattina alla sera. Cercavo di smettere, ma mi era impossibile. Alla fine sono giunto a questa conclusione: non voglio che tu vada via, non posso stare senza di te. Non voglio perderti di nuovo, né sentire mai più le parole per un po’ e forse. È questo che penso. Mi dici sempre che per un po’ non potremo vederci, e sparisci. Nessuno può sapere con certezza se tornerai davvero o no. Potresti non tornare mai più, potrei finire i miei giorni senza avere la possibilità di rivederti. Questo pensiero mi è insopportabile e tutto intorno a me sembra non avere più senso. Ti amo, di questo sono sicurissimo. Niente potrà cambiare quello che provo per te, è un sentimento speciale cui non posso rinunciare di nuovo. Ti ho già persa tante volte, ma avrei dovuto trattenerti. È stato un errore lasciarti andar via, in tutti questi mesi me ne sono reso conto. Ti amo davvero e non posso più vivere senza di te. Non voglio che tu vada più via.”
Shimamoto, la prima e quella che sarebbe stata l’ultima se solo fosse rimasta. Shimamoto: la donna di sempre. Shimamoto, eternamente attesa; Shimamoto che arriva dopo anni di silenzio nelle notti di pioggia a sedersi al bancone di un bar. Shimamoto e il suo cuore che a volte riesce a fatica a sussurrarle nel petto. Shimamoto e la sua gamba da trascinare, Shimamoto da rincorrere, da non perdere, da trattenere. Shimamoto nuda, una sola notte, nella casa delle vacanze, davanti alla fiammella rossa di una stufa. Shimamoto che tormenta, che toglie il fiato, che azzera il tempo e poi lo dilata. Shimamoto che rimane sempre anche quando non c’è più.
“Non avrei più rivisto Shimamoto. Avrebbe continuato ad esistere solo nella mia memoria. Era esistita, ma ora era scomparsa dalla mia vista, era svanita. Se in un luogo non esistono realtà intermedie, le mezze misure non possono esistere. A sud del confine esisteranno pure i forse, ma non a ovest del sole.”
Io non so parlare di Murakami: ogni volta che ci provo mi assale quella sgradevole sensazione allo stomaco, che ti impedisce di fare qualsiasi cosa, ti impedisce di andare oltre ma ti impedisce anche di restare, di parlarne. Perché non credo ci sia un modo per capire i suoi libri, le sue storie, i suoi amori sbagliati che sembrano quasi farcela, quasi riuscirci, contro gli anni, contro le convenzioni, e non ce la fanno mai. Murakami per me è questo: un autore che non capisco, che si porta dentro storie che non riesco a sciogliere, a seguire, in cui però ogni volta scelgo volontariamente di rimanere impigliata.
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