Her – Spike Jonze

“Cara Catherine, sono stato qui a pensare a tutte le cose per cui ti vorrei chiedere scusa. A tutto il dolore che ci siamo inflitti a vicenda. A tutte le cose di cui ti ho incolpato. A tutto ciò che volevo tu fossi e dicessi. Mi dispiace per tutto ciò. Ti amerò sempre perché insieme siamo cresciuti. E mi hai aiutato a farmi diventare così. Voglio solo che tu sappia…che dei frammenti di te resteranno per sempre in me. E di questo te ne sono grato. Qualsiasi cosa tu sia diventata e ovunque tu ti trovi nel mondo, ti mando il mio amore. Sarai mia amica per sempre. Con affetto, Theodore.”

Theodore scrive lettere: lettere d’amore, lettere di congratulazioni, lettere d’addio e lettere di circostanza. Trova le parole per tutti. Certo per tutti, tranne per sé. E per lei. Ogni volta che sta per dire qualcosa prende un respiro profondo. Forse si prende un’immenso spazio bianco per cercare di capire dove deve andare, dove vuole che vadano loro due. Theodore ogni giorno scrive centinaia di lettere e a volte, fino a poco tempo fa, riusciva perfino a diventare il suo scrittore preferito. Si intrufola fin dal primo giorno, fin dalla prima lettera di compleanno nelle storie d’amore degli altri, vede i figli degli altri crescere e finalmente laurearsi. Theodore si sente parte di qualcosa, credo, ma niente di suo davvero. L’unica cosa che aveva le sta sfuggendo dalle dita; vuole riempire quel vuoto ma non si rende conto che forse l’unico modo per riempirlo davvero sarebbe trovare quelle maledette parole: perdonami, ti chiedo scusa, ti mando il mio amore ovunque tu sia. E ce la fa, a trovarle, ma solo alla fine quando non sa nemmeno dove sia, dove stia crescendo ancora senza lui. E la rivede sorridere, sente le sue dita addosso come se tutto fosse ancora qui ed ora. Come se lo fossero ancora perfino loro due. Theodore rimanda e quando crede di essere pronto è Catherine che non ce la fa, che chiede un altro pranzo ancora, che magari sei sempre tu no? Che magari questa volta puoi accettarmi anche per quella che non posso essere. Ma Theodore non capisce quel tremolio prima della firma, non capisce quelle urla improvvise, quell’accusa di sempre eppure tutta nuova, non capisce che forse lei lo vuole ancora. E alla fine se c’è un posto a cui tornare è sempre lei. Se c’è una lei a cui scrivere, se c’è una lei che rimane cosa e casa sua è solo Catherine.

Un film che parla di una lei, parlando di molte donne: lei Samantha, che arriva quando tutto sembra non funzionare, quando è un impasse, quando non si va indietro perché non si può oppure si vuole ma non si può oppure si può ma non si vuole oppure perché “è troppo tardi” chissà poi per cosa e non si va avanti; lei, gattina su un sito di chat porno, quando la notte non passa mai e ci sente soli; lei, Amy, l’amica di sempre, quella insicura, quella a cui raccontare tutto eppure così in trappola, fino a quando non capisce e la consapevolezza la colpisce alla fine di uno stupido litigio; lei, la ragazza di una sera, quella che vorrebbe di più del semplice sesso, quella sexy che però non stringeresti mai a te; lei, Isabella, che vuole far parte di qualcosa, di qualcosa di profondo, vuole dare un volto a sentimenti che esistono anche se non sono i suoi ma vorrebbe disperatamente che lo diventassero, almeno un pochino; lei, l’avvocato fidanzata del suo amico, lei reale, lei di cui lui nota un particolare, i suoi piedi, e se ne innamora perdutamente; lei, Catherine, la lei dell’inizio ma anche quella della fine.

Un film straziante con te a cinque centimetri da me dopo quattro mesi. Io che piango, tu che rafforzi la presa sulla mia gamba sinistra. Il lungo abbraccio durante i titoli di coda. Non è forse quello che è successo anche a noi? Il silenzio mentre portiamo i piatti sporchi in cucina. E se tu fossi la mia Catherine? E se io non avessi altro posto a cui tornare se non te? Se questo ne fosse la dimostrazione? Tu che mi abbracci da dietro, io con le mani nel sapone. Se noi potessimo cambiare il finale? Se io potessi trovarle subito quelle parole senza dover aspettare la fine? E se invece di una fine fosse un inizio? Noi stesi sul letto, il riuscirci a parlare davvero, gli strani giochi di luce del lampadario. E allora:

“Ti prego, Catherine, non commettiamo ancora lo stesso errore. Ti prego, Catherine, stringimi ancora come questa sera.

Con amore, tuo Theodore”.

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