Nell’era del tramonto e dell’evaporazione della figura paterna, del consumismo dilagante, della ribellione sempre e comunque e dei desideri inconsistenti mi sembra di riuscire ad aggrapparmi a quei piccoli promemoria disseminati da Recalcati nel suo brillante e sensibile testo “Cosa resta del padre? La paternità dell’epoca ipermoderna“.
- “Nessuno si salva da solo”
Nel tempo in cui crediamo di non aver bisogno di nessuno, di riuscire a farsi da sé troppo spesso dimentichiamo che “ciascuno di noi proviene da un orizzonte che non ha scelto e che lo ha determinato“. Nessuno può dire di essersi fatto da solo, nessuno può parlare di sé senza parlare dell’Altro. Che sia un padre, una madre, un fratello, un vicino di casa, una zia sempre presente, noi siamo stati oggetti nelle mani di qualcuno, soggetti che si sono distinti da qualcuno o che vedono se stessi nei tratti di qualcuno. Prendere consapevolezza della nostra dipendenza da un altro è prendere consapevolezza di ciò che siamo, di ciò di cui abbiamo bisogno: di essere amati e di amare.
2.”Un desiderio che sia il proprio”
Cerchiamo sempre di fuggire da rapporti che sentiamo opprimenti, da famiglie che non ci capiscono, da amici che non ci apprezzano davvero per quelli che siamo. Sentiamo forte, da sempre, quell’esigenza di avere qualcosa che ci definisca, qualcosa per cui combattere, su cui investire: un desiderio nostro. Solo però in un gruppo di cui fare parte possiamo differenziare il nostro desiderio da quello dell’altro, possiamo riconoscere quello del nostro vicino e farci riconoscere nel nostro ideale o bisogno. Recalcati scrive la necessità di non dimenticare che il nostro desiderio nasce da un desiderio che ereditiamo e di cui vediamo la testimonianza attorno a noi, che possiamo raccogliere e modificare.
3.”è necessario perdersi”
Troppo spesso ci sentiamo ripetere di non fallire, “non deludermi”. Troppo spesso ci sentiamo intrappolati in una gabbia opprimente di aspettative. Eppure il fallimento è un atto mancato e quest’ultimo “è il solo atto riuscito possibile“. Forse solo dopo esserci persi possiamo ritrovarci, solo dopo esserci sentiti indefiniti possiamo capire ciò che davvero ci definisce, ci distingue, ci identifica. Forse bisogna solo non aver paura di cadere, di fallire, di sbagliare e cosa ancora più importante forse bisogna solo accettare di sbagliare, di non essere perfetti. Forse bisogna solo sbagliare e perdonarsi.
4. “L’amore non è mai amore generico”
“L’amore non è mai amore generico, universale, indistinto, ma sempre e solo amore di una vita particolare, riconosciuta nei suoi dettagli più propri, inconfondibili, più intimi.” Ti amo, perché sei tu. Quante volte guardando la propria persona ci rendiamo conto di quanto l’amore che sentiamo si ancori a piccoli dettagli che probabilmente sono insignificanti per tutto il resto del mondo ma non per noi, mai per noi? Che sia una fossetta all’angolo destro della bocca, un ciuffo ribelle tra i capelli, un modo buffo di pronunciare una parola, una smorfia particolare contro la luce accecante che entra della finestra al mattino, la testardaggine di avere sempre l’ultima parola. Recalcati ci ricorda che nessuno può amare in generale, che amare già nel suo essere è sentimento per qualcosa o qualcuno. Amare è riconoscere l’altro per quello che è, è distinguerlo dal mondo, è ritagliarlo dallo sfondo.
In Cosa resta del padre? Recalcati ci ricorda l’importanza della figura paterna e del messaggio che veicola, dell’eredità che ci trasmette, della testimonianza di cui si carica: il desiderio della vita per cui ne vale la pena. In poche pagine l’autore ci mostra un padre diverso, un padre che invita al dialogo, pronto a donare, un padre che dice sì.
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